mercredi 31 octobre 2012

La visión está sostenida en la generación de soluciones inteligentes.


Borse contrastate e spread a 350
A Piazza Affari il crollo di Fiat

Seduta in altalena per i listini del Vecchio continente. Pesa il nulla di fatto dell'Ue sulla Grecia. Milano chiude poco sopra la parità. Il titolo del Lingotto continua la sua caduta dopo i conti e il piano industriale annunciati ieri. Il differenziale di rendimento tra Btp e bund è invariato. Debole Wall Street alla riapertura dopo il passaggio di Sandy

MILANO - Seduta contrastata sui mercati azionari europei in scia anche alle trimestrali poco brillanti di ArcelorMittal nel settore siderurgico e di Anheuser-Busch InBev in quello della birra. Sul finale di seduta pesa il nulla di fatto dell'Eurogruppo sulla Grecia: per la Germania non ci sono ancora le condizioni per dare il via libera alla nuova tranche di aiuti, ma Atene ha varato, ieri, un nuovo pacchetto di tagli 1. Milano ha chiuso la seduta in lieve rialzo (+0,12%), grazie a Fiat Industrial 2 e a dispetto della caduta di Fiat 3iniziata ieri dopo la presentazione dei conti del terzo trimestre e il piano industriale. Londra perde l'1,15%, zavorrata dai conti di Barclays, 4 Francoforte arretra dello 0,33% e Parigi cala dello 0,87%. Negli Usa, nella prima seduta dopo la chiusura provocata dall'uragano Sandy, lo S&P 500 e il Dow Jones perdono lo 0,3%. Male il Nasdaq a -0,6% anche per via Apple e Facebook. 5

Sul fronte obbligazionario il differenziale di rendimento tra i titoli italiani a 10 anni e gli equivalenti bund tedeschi è tornato a quota 350 punti. Mentre l'euro chiude debole sotto quota 1,30 dollari. La moneta europea passa di mano a 1,2963 dollari.

L'indice del costo del lavoro negli Stati Uniti ha mostrato un incremento dello 0,4% nel terzo trimestre rispetto ai tre mesi precedenti, mentre gli economisti si aspettavano un rialzo dello 0,5%. Su base annua la crescita è stata del 2%. E' quanto comunicato dal dipartimento del Lavoro. Stipendi e salari, che rappresentano circa il 70% dell'indice, sono saliti dello 0,3% su base trimestrale e dell'1,7% annuo, mentre il costo dei benefit è cresciuto rispettivamente dello 0,8% e del 2,6%.

Sul fronte delle vendite al dettaglio in Germania si è registrato un aumento dell'1,5% a settembre, a prezzi costanti e destagionalizzati, secondo i dati provvisori pubblicati dall'Ufficio federale di statistica. Gli analisti si aspettavano un rialzo più moderato dello 0,4% su base mensile. In agosto, le vendite al dettaglio erano aumentate dello 0,1% su mese (dato rivisto al ribasso) dopo il rimbalzo dell'1,3% di luglio.

Chiusura in rialzo per la Borsa di Tokyo, dopo il forte calo di ieri. Il Nikkei archivia la seduta con un +0,98%, mentre il più ampio indice Topix è salito dell'1,21%. Il mercato sembra quindi aver digerito la delusione per l'intervento di ieri della Bank of Japan, meno incisivo di quanto ci si aspettasse, che aveva pesato sul listino. Gli analisti hanno sottolineato, infatti, l'importanza del fatto che per la prima volta il governo e la BoJ hanno diramato un comunicato congiunto per sottolineare il loro impegno comune nella riduzione delle pressioni inflattive. Tra i titoli in movimento, Komatsu è balzato del 4,3% dopo che la trimestrale ha rassicurato il mercato, mentre Hitachi è salita del 3,2% dopo la conferma delle stime di utili per l'anno in corso. Bene anche il resto dell'Asia: Hong Kong ha guadagnato l'1%, Shanghai lo 0,32%, mentre Seul ha chiuso in rialzo dello 0,66%.

Il petrolio è in rialzo a New York e viene scambiato a 86,34 dollari al barile (+0,77%). Oro in lieve aumento: il metallo prezioso con consegna immediata è scambiato a 1.713,12 dollari (+0,2%). Nel mese il prezzo è diminuito del 3,4% dopo aver registrato una crescita del 4,7% in settembre.
(31 ottobre 2012)
La visión está sostenida en la generación de soluciones inteligentes.

Disoccupazione al 10,8% a settembre
è il livello più alto da gennaio 2004

Istat: l'aumento rispetto ad agosto è di 0,2 punti percentuali e di 2 punti nei dodici mesi. Si sfiora quota 2,8 milioni di persone, soprattutto uomini. Grave la situazione giovanile: fra i 15 ed i 24 anni, i senza lavoro sono saliti al 35,1%. In 608mila cercano un'occupazione

ROMA - Sale a livelli record il numero dei disoccupati, sfiorando quota 2,8 milioni: a settembre il tasso di disoccupazione ha toccato il 10,8% (dato provvisorio e destagionalizzato). Lo rileva l'Istat, sottolineando che l'aumento rispetto ad agosto è di 0,2 punti percentuali e di 2 punti nei dodici mesi. Si tratta del livello più alto raggiunto dal gennaio 2004, l'inizio delle serie storiche mensili, e, guardando alle serie trimestrali, è il valore più alto dal terzo trimestre 1999.

Particolarmente drammatica la situazione per i giovani: il tasso di disoccupazione fra i 15 ed i 24 anni a settembre è salito al 35,1%, in aumento di 1,3 punti percentuali su agosto e di 4,7 punti su base annua, in base alle rilevazioni dell'Istituto di statistica (dati destagionalizzati e provvisori). Fra i 15-24enni le persone in cerca di lavoro sono 608mila e rappresentano il 10,1% della popolazione in questa fascia d'età.

A settembre le persone senza lavoro sono risultate 2,774 milioni, in aumento di 62mila unità rispetto al mese precedente. A rimanere senza occupazione sono soprattutto gli uomini: su base annua l'aumento è del 24,9%, pari a 554mila unità.

Gli occupati risultano pari a 22 milioni e 937mila unità, in diminuzione dello 0,2% rispetto ad agosto (-57mila unità). Il numero di occupati, sottolinea l'Istat, risulta invariato su base annua: il tasso di occupazione è pari al 56,9% in diminuzione di 0,1 punti percentuali nel confronto congiunturale, ma è stabile nei dodici mesi.

Il numero di individui inattivi tra i 15 e i 64 anni, sottolinea poi l'Istituto di statistica, risulta sostanzialmente invariato rispetto al mese precedente. Il tasso di inattività si attesta al 36,3%, stabile in termini congiunturali, ma in diminuzione di 1,3 punti percentuali su base annua.

 
(31 ottobre 2012)
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Market Overview
 
FTSE MIB15.539,71+0,12%
FTSE 1005.782,70-1,15%
DAX 307.260,63-0,33%
CAC 403.429,27-0,87%
Swiss Market6.595,13-0,57%
S&P 5001.412,16+0,02%
NASDAQ2.977,23-0,36%
Hang Seng21.641,82+1,00%
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El fin de los grandes imperios del ladrillo

La crisis de Reyal Urbis supone la caída del último de los supervivientes que alentó la burbuja

Urbanización en Miño (A Coruña) cuya construcción está paralizada. / ALFREDO CÁLIZ

A la mayoría de los sectores económicos la crisis les está resultando interminable. Pero a otros el vendaval se los ha llevado por delante y han tenido que poner prácticamente punto final a su actividad. Eso le ha ocurrido al sector inmobiliario tradicional, el que fuera el motor económico durante la época de bonanza con la que España arrancó el siglo XXI. La patronal estimó en 2006 que hasta 5.000 inmobiliarias trabajaban a destajo atraídas por lo que creían un mercado ajeno a las reglas de la economía, en el que los precios nunca bajaban y el crédito no tenía fin. Reyal Urbis, la que fue la tercera promotora española por volumen de activos, está al borde de seguir la misma suerte que las casi 3.600 inmobiliarias que, según PricewaterhouseCoopers, desde 2008 hasta hoy han tenido que solicitar el concurso de acreedores.
A medida que el boom alumbraba nuevas inmobiliarias, algunos empresarios se proponían levantar grandes imperios del ladrillo. La historia del pez chico que se comía al grande era la más común en los años 2006 y 2007, cuando el ciclo tocaba su fin. Fue la historia de Luis Portillo, que se hizo con Colonial y Riofisa; Fernando Martín, que atacó Fadesa; Bruno Figueras, que desde Habitat engulló la división inmobiliaria de Ferrovial, o Román Sanahuja, que se quedó con Metrovacesa. Todos esos cuentos acabaron mal. Los concursos se han ido sucediendo hasta hoy. En la lista de quienes tuvieron que acudir al juez están nombres tan ilustres como Martinsa Fadesa, Habitat, Sacresa, Nozar o Restaura.
Rafael Santamaría ha sido el último empresario del ladrillo en engrosar la lista de quienes han solicitado un procedimiento judicial para poner orden en su pasivo. Su aventura fue similar a otros fiascos. En julio de 2006, el grupo Reyal presentó una oferta pública de adquisición (OPA) por el 100% de Urbis —entonces controlada por Banesto—, que facturaba el doble que la empresa de Santamaría y poseía cuatro millones de metros cuadrados de suelo. La compra ascendía a 3.317 millones de euros, lo cual suponía una prima del 18% sobre el precio de las acciones en ese momento.
Casi 3.600 empresas del sector han pedido el concurso en cinco años
Reyal Urbis ha podido aguantar cinco años de temporal antes de pedir el concurso anticipado. Muchas de las promotoras que han ido cayendo en los últimos meses han pasado el último lustro con respiración asistida, con refinanciaciones de deuda sujetas a planes de negocio que resultaron irreales. El sector lo conoce como “la patada hacia adelante”. “Los planes de venta eran más un deseo que una realidad por la tremenda dureza de la crisis. El rápido crecimiento del desempleo y la caída de transacciones los convirtieron en papel mojado”, explica el director general de Aguirre Newman, Ángel Serrano.
En ese grupo estaba Reyal Urbis, que firmó dos acuerdos, uno en octubre de 2008 y otro en febrero de 2010. El último pacto postergaba los plazos de devolución de la deuda, exigía daciones en pago para aliviar el pasivo y fijaba un plan de negocio para la empresa. El oxígeno venía con una línea de crédito de 35 millones, que no pudo compensar la sobrecarga de activos ilíquidos de la inmobiliaria. De acuerdo con la memoria remitida a la Comisión Nacional del Mercado de Valores (CNMV), los activos inmobiliarios de la promotora ascienden a 3.600 millones de euros (de los que se han tenido que provisionar 738 millones por su depreciación). De esos, solo 281 millones corresponden a inmuebles terminados, mientras que el resto es suelo. Y los terrenos hoy son un problema: por una parte, sin demanda, su valor es cero, y en ocasiones negativo. Y por otra, la banca trata de reducir su cartera crediticia al sector inmobiliario, por lo que el grifo para esta actividad está cerrado a cal y canto.
El preconcurso de Reyal Urbis y la suspensión de pagos de Mag Import y Alteco Gestión —controladas por la familia valenciana Soler y el empresario Joaquín Rivero—, son una nueva sacudida para un sector cuyas 10 primeras empresas llegaron a tener un valor bursátil de más de 48.800 millones de euros a comienzos de 2007. Hoy, la suma de la capitalización bursátil de las siete sociedades que cotizan —excluida Martinsa— apenas supera los 2.000 millones y arrojaron en el primer semestre unos números rojos de más de 500 millones de euros. En solo un lustro, el sector ha perdido más de 46.000 millones de euros en el mercado de valores.
Las inmobiliarias se han dejado en Bolsa más de 46.000 millones desde 2007
Si, como indican la mayoría de organismos, la recuperación se hace esperar todavía más, las inmobiliarias —que suponen el 16% de los concursos de acreedores presentados desde 2006— seguirán cayendo. “Si no hay actividad promotora suficiente, si los activos no dan las rentas necesarias y sin actividad complementaria, es obvio dónde acabará”, asegura el socio de la consultora Irea, Mikel Echavarren. Pintan bastos, pues, para las promotoras que han logrado sobrevivir hasta ahora. “Una parte de las que quedan tendrán que ir a concurso, y muchas otras se verán obligadas a entrar en liquidaciones extrajudiciales, por ejemplo, mediante daciones en pago”, añade Echavarren.
El tablero de juego del sector, el primero en entrar en crisis y probablemente el último en salir de ella, también ha dado un vuelco. “España va a pasar de tener en cuestión de cinco años un sector muy atomizado a una de las mayores inmobiliarias del mundo, que será el Sareb [Sociedad de Gestión de Activos Procedentes de la Reestructuración Bancaria]”, recuerda Ángel Serrano. Esa suerte de banco malo, que gestionará los activos tóxicos de las entidades financieras, despierta grandes dudas y recelos entre el sector inmobiliario, que durante estos años ha tenido que hacer frente a la competencia de una banca sobrecargada de ladrillo.
El catedrático de Economía Aplicada de la Universidad Pompeu Fabra, José García Montalvo, coincide en que “todavía no está claro quién asumirá los procesos de refinanciación o los planes de dinamización de ventas de las inmobiliarias”. García Montalvo recuerda que muchas entidades, como las cajas nacionalizadas, han decidido refinanciar a inmobiliarias para no quedarse con más ladrillo en su balance y se han implicado en la venta de los pisos de sus promotoras. Hoy no está claro qué ocurrirá con esas carteras de crédito ni cómo se gestionarán los inmuebles adjudicados, pero sí que buena parte de los metros cuadrados de suelo por los que hace cinco años batallaban las inmobiliarias acabarán siendo engullidos, esta vez, por el pez grande, el banco malo.
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Guindos afirma que la economía caerá en 2012 menos del 1,5% previsto

El ministro de Economía avanza que "la cifra final será mejor" de lo esperado

El ministro de Economía y Competitividad, Luis de Guindos, ha afirmado este miércoles que los últimos datos conocidos permiten asegurar que el PIB tendrá un comportamiento menos negativo del previsto en el ejercicio 2012. En una interpelación en el Congreso de los Diputados, Guindos ha dicho que es "previsible" que el PIB cierre algo mejor que en el 1,5% previsto para 2012. "La cifra final será mejor", ha apuntado Guindos, quien ha añadido que las previsiones del Ejecutivo se caracterizan por la "prudencia".
Según ha defendido Guindos, la reforma laboral está dando sus frutos y ha resaltado que la muestra "más evidente de la capacidad de crecimiento y dinamismo" de la economía española es la buena evolución del sector exterior, al tiempo que ha puntualizado que habrá un cambio  "estructural" cuando la balanza de pagos tenga superávit a finales de este año. Eso sí, ha concedido que "la mejoría de la economía española dependerá también de que se disipen las dudas sobre el euro y lograremos que el año que viene sea mejor que este".

El producto interior bruto (PIB) descendió un 0,3% entre julio y septiembre, lo que supone un ligero respiro respecto al trimestre anterior, cuando la caída fue de cuatro décimas, según la información publicada este martes por el Instituto Nacional de Estadística (INE). En la comparación anual, la caída es ya del -1,6%, el peor dato desde la Gran Recesión de 2008-2009. Pero, al mismo tiempo, que la caída trimestral haya sido menos aguda de lo previsto casi garantiza que la predicción del Gobierno para el conjunto de 2012 (una variación del -1,5% respecto al año anterior) se cumplirá.
De hecho, la actividad tendría que registrar un desplome similar al peor trimestre de 2009, el año de la Gran Recesión, para alcanzar esta caída anual del 1,5%.
Con vistas a 2013, Guindos ha reconocido que el Ejecutivo es "consciente" de que sus proyecciones, que prevén un recorte del 0,5% del PIB, son más optimistas que la media del consenso económico, que apunta a una contracción del 1,5%, pero se ha mostrado convencido de que esas perspectivas pueden convertirse en realidad. "No nos conformemos con lo que dicen de fuera. Intentemos actuar", ha declarado.

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La firmeza de Europa con Atenas mantiene la presión sobre la deuda

El Ibex cierra con un alza del 0,11% en 7.842,9 puntos

La prima de riesgo se coloca en 415 al final de la jornada




Los mercados han iniciado hoy la sesión sin datos en los que anclar una tendencia, a la espera de la reanudación de la negociación en Estados Unidos tras el paso del huracán Sandy, que ha golpeado dramáticamente la costa Este del país. Los mercados de renta fija y variable, desde Nueva York a Chicago, han permanecido cerrados desde el lunes.
Durante las primeras horas de la tarde, el mercado de deuda se ha relajado, en medio de la especulación sobre una posible minoración de las exigencias impuestas a Grecia en virtud del rescate acordado el pasado martes, ha favorecido una relajación en los mercados de deuda soberana. Se esperaba que los ministros de Finanzas de la Eurozona contemplaran durante la teleconferencia que han celebrado hoy un cierto aplazamiento en la obligación que tiene el Gobierno de Antonis Samaras de reducir el déficit fiscal. Pero han mantenido las exigencias y la presión en los mercados de deuda soberana se ha reanudado.
La prima de riesgo española, exceso de rentabilidad que los inversores exigen a los bonos españoles respecto a los alemanes, ha caído hasta 410 puntos básicos (4,11 puntos porcentuales), tras haber terminado ayer en 419, pero ha finalizado en 415. El diferencial italiano ha cerrado en 349, después de finalizar ayer en 351. Había llegado a ceder hasta 344.
El Ibex ha iniciado la sesión con un leve ascenso que ha ampliado hasta tocar un máximo en 7.939,9 puntos, con un avance del 1,35%. Al final de la jornada el avance se ha recortado hasta el 0,11% y se ha situado en 7.842,9 puntos al cierre. Sacyr Vallehermoso (+3,92%), FCC (+2,7%) e IAG (+2,49%) son los valores que más han subido, mientras ArcelorMittal (-6,52%), Acerinox (-3,71%) y Acciona (-3,08%) se han anotado los mayores descensos.
Las plazas europeas han seguido evoluciones dispares. Londres ha caído un 1,15%, París un 0,87%, Fráncfort un 0,33% y Milán ha logrado ganar un 0,12%.

lundi 29 octobre 2012

La visión está sostenida en la generación de soluciones inteligentes.

Rajoy afirma que el rescate europeo “no es imprescindible en este momento”

Monti y el presidente español rechazan la creación de un supercomisario de la UE para vigilar los presupuestos de cada país. Ninguno de los dos quiere el rescate

FOTO: LUIS SEVILLANO



El rescate europeo "no es imprescindible en este momento" y el Gobierno de España no lo pedirá hasta que decida que es necesario y bueno "para los intereses generales de los españoles". Mariano Rajoy rechaza que España vaya a pedir, al menos por ahora, que se active el mecanismo de compra de deuda por parte del Banco Central Europeo. Lo ha dicho durante la rueda de prensa conjunta con Mario Monti, primer ministro italiano, quien también ha rechazado que su país vaya a pedir ahora el rescate: "No pensamos que Italia tenga que poner en marcha este instrumento".
El primer ministro italiano, Mario Monti,  y tres de sus ministros están celebrando hoy en Madrid la primera cumbre bilateral entre España e Italia en tres años. Es la cuarta vez en este año en la que el jefe del Ejecutivo español, Mariano Rajoy, se entrevista con Monti, con quien al principio mantuvo una relación difícil que poco a poco se ha ido acercando ante los intereses comunes frente a las posiciones alemanas. Aunque ambos han hecho un repaso de la relación bilateral, los temas de la actualidad europea, la superación de la crisis y el saneamiento de las cuentas públicas han centrado el grueso de sus conversaciones. Rajoy ha recibido con honores militares al primer ministro italiano.
La declaración conjunta firmada durante la cumbre exige la puesta en marcha inmediatamente de los mecanismos europeos para llevar el crédito y el crecimiento económico a ambos países. "Hemos tratado temas que no dejan conciliar mucho el sueño", ha ironizado Monti, burlón en varias ocasiones, sobre todo cuando se equivocó al decir que "Francia y España incumplieron en 2003 el pacto de estabilidad". "Perdón, perdón, es Alemania, me corrige el ministro de Exteriores", decía mientras José Manuel García Margallo se reía. "Es que España está siempre en mi corazón, por eso me he equivocado", ha ironizado Monti.

España e Italia han subrayado el compromiso para el mantenimiento de Grecia en en euro, así como el apoyo a las medidas que ya ha puesto en marcha este país, según ha explicado Rajoy durante la rueda de prensa. Rajoy se ha opuesto a la creación de un supercomisario europeo para supervisar los presupuestos de todos los Estados de la UE, una idea lanzada por Mario Draghi, gobernador del BCE. A su entender. lo que tiene que hacer la UE es "algo similar a lo que se hizo cuando se creó el euro. Es el momento de repetir una operación como la de entonces y fijémonos plazos. Pero una  medida aislada así, aislada, pues no".  Monti, por su lado, considera que la creación de un supercomisario "es un mito", pero es algo "que no es posible". Ambos mandatarios lanzaban así un mensaje de claro aviso a las posiciones alemanas, más cercanas a esa idea del supercomisario que controle los Presupuestos nacionales. Ambos han coincidido en que esa, de manera aislada, no es la solución. Monti incluso ha dicho que se estaría lanzando un mensaje erróneo a los mercados, esto es que los sistemas actuales para controlar que los países siguen la política de austeridad no funcionan.
Rajoy y Monti están unidos contra esta idea del supercomisario, pero cuando se habla de rescate esa unión se resquebraja. Italia, como Francia, quiere que España vaya primero al fondo. Así su propia prima bajaría -la evolución de ambas es pareja- sin asumir el coste del rescate. Rajoy, por el contrario, quiere evitar quedarse solo y preferiría ir con Italia. Hoy los dos han hecho un ejercicio de malabarismo dialéctico para evitar comprometerse. Se han limitado a dejar claro que ninguno de los dos lo necesita en este momento, aunque ambas primas siguen muy altas y las empresas y los bancos españoles siguen presionando para que Rajoy pida cuanto antes el rescate y baje la prima.
"En cuanto yo piense que es bueno para los intereses generales de España entonces podré pedirlo, pero lo relevante es que el instrumento exista", ha dicho Rajoy. "En este momento España no lo ha pedido porque entiende que ahora no es imprescindible para los intereses de los españoles", ha añadido. También Monti ha negado que Italia necesite en este momento acudir a ese instrumento.
"Yo lo haré cuando piense que es bueno para los intereses generales de los españoles", por eso "me parece bueno que exista", agregó Rajoy, para señalar a continuación que en este momento "el Gobierno español no lo ha pedido porque entiende que no es fundamental para defender los intereses de los españoles".
Rajoy ha contestado a las declaraciones de Barack Obama -"no podemos permitir que España se derrumbe", ha dicho el presidente de EE UU-. Para el presidente español, España está haciendo las reformas y recortes necesarios para superar la difícil situación económica. Y ha aprovechado para quejarse de que haya países de la Unión que se estén financiando gratis, "incluso que le paguen por invertir el dinero en ese país" y otros que tienen que pagar altos intereses.
España e Italia comparten la necesidad de que la unión bancaria avance tan rápido como sea posible y que a lo largo de 2013 se consiga poner en práctica la recapitalización directa de la banca, y con efectos retroactivos, lo que permitiría que dejara de computar como deuda pública los 40.000 millones que recibirán los bancos españoles. La canciller alemana, Angela Merkel, asegura que no habrá recapitalización directa de la banca española con efectos retroactivos, si bien los líderes europeos abrieron en junio la puerta a esta posibilidad.

Al término de la cumbre, que se celebra en el palacio de La Moncloa, Rajoy y Monti inaugurarán el Foro de Diálogo España-Italia, un encuentro que reúne cada año a los principales empresarios italianos y españoles y que se suele organizar coincidiendo con las cumbres. Este foro lo organizan por parte italiana, la Agenzia di Ricerche e Legislazione fondata da Nino Andreatta y, por parte española, el Centro de Estudios y Documentación Internacionales de Barcelona (CIDOB).
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El Gobierno prevé sacar del banco malo una rentabilidad anual de hasta el 15%

La sociedad asumirá los pisos de la banca con un descuento de hasta el 54%

La rebaja media en los créditos e inmuebles adjudicados será del 63%

La Sareb podrá llegar a gestionar activos por 60.000 millones ya en 2013

Fuente: Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria (FROB).

El Banco de España ha anunciado esta tarde que el nuevo banco malo espera obtener una rentabilidad sobre el capital (RoE) de en torno al 14% y el 15% "en un escenario conservador". Sin embargo, estos resultados no se obtendrán de forma inmediata. Según añade el supervisor en una nota, las características del negocio del banco malo y la propia evolución del ciclo inmobiliario "hacen que la rentabilidad media mencionada sea compatible con resultados modestos en los primeros años en los que hay que financiar un stock de activos elevado y, sin embargo, las ventas representan todavía una pequeña parte de dicho stock".
El Ejecutivo defiende que la sociedad será rentable "gracias a una gestión eficiente y profesional de los activos" asumidos por el banco malo y que llevará a cabo un equipo directivo "seleccionado" entre profesionales y expertos de prestigio. El objetivo ahora es presentar este plan de negocio provisional a los potenciales inversores a los que el Gobierno quiere convencer para que sean los accionistas mayoritarios de la sociedad. Entre ellos no podrán estar las entidades que trasvasen sus créditos dañados del ladrillo al banco malo.
Sobre los precios a los que serán traspasados los activos tóxicos a la sociedad, que estará plenamente operativa el 1 de diciembre, el Banco de España calcula que sufrirán un descuento de aproximadamente el 63% con relación al valor bruto en libros para los activos adjudicados y del 45,6% en préstamos.

En el primer caso, que comprende los inmuebles y demás activos canjeados por impago, los mayores recortes se verán en el suelo, que es lo que tiene una peor salida en el mercado, con un 79,5%. La vivienda acabada registrará un descuento del 54,2% sobre el valor en libros y, las promociones en curso, del 63,2%. En cuanto a los créditos, el valor medio sufrirá un descuento del 45,6%. Bajando al detalle, los préstamos sobre vivienda terminada registrarán un recorte del 32,4%, los que financien obras en curso tendrán una rebaja del 40,3% y los que estén constituidos sobre suelo del 53,6%.
Este precio de transferencia, sin embargo, "no es una estimación del valor económico de los activos", ha matizado el subgobernador del Banco de España, Fernando Restoy, que ha querido así diferenciar entre el valor económico de los activos que se traspasan al banco malo frente al precio que pueden registrar en otras operaciones. La explicación que ha dado el también presidente del Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria (FROB) es que los precios de transferencia, que utilizan como referencia las pérdidas esperadas en el escenario base de la auditoria de Oliver Wyman, incluyen una serie de ajustes, como que se traspasan en bloque y los gastos de gestión, administración y los costes financieros en los que incurrirá el Sareb.

Fuera los pisos de menos de 100.000 euros

El valor neto contable de los activos adjudicados no podrá, en cualquier caso, ser inferior a los 100.000 euros y, en los créditos, este mínimo se establece en 250.000 euros, definido por total acreditado.
El Gobierno quiere aprobar el viernes 16 de noviembre el real decreto que desarrolla la creación del banco malo al que las entidades podrán traspasar sus activos inmobiliarios tóxicos. "En ningún caso, tal y como establece el real decreto actualmente en fase de tramitación, el tamaño de la Sareb excederá de 90.000 millones de euros", recuerda el Banco de España. Esto la convertirá en la mayor inmobiliaria de España.
Los recursos propios de la Sareb serán aproximadamente de un 8% sobre su volumen de activos totales y no de un 10%, como se había barajado. Asimismo, una parte de los recursos propios podría estar instrumentada mediante bonos subordinados.
El volumen de activos a transferir teniendo en cuenta solo la parte correspondiente a las entidades del Grupo 1, que son las nacionalizadas Bankia, Catalunya Caixa, Novagalicia y Banco de Valencia, se estiman en 45.000 millones de euros. La cifra aumentará a 60.000 millones cuando se incorporen los del Grupo 2 en 2013. En este apartado se incluyen las entidades que deberán recapitalizarse con apoyo público. En contraprestación por los activos aportados, las entidades percibirán bonos emitidos por la sociedad y garantizados por el Estado.

vendredi 26 octobre 2012

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Le CAC 40 finit une semaine morose sur une note positive

Traders Work On The Floor Of Exchange As Federal Reserve Ends Two Day Policy Meeting
Les investisseurs se montrent prudents avant le PIB américain. Crédit Photo : MARIO TAMA/AFP

L’indice a avancé de 0,69 % mais cède près de 2 % sur la semaine. Les investisseurs ont salué le rebond surprise de la croissance américaine. Les banques, dans le collimateur de Standard and Poor’s, accusent le coup.
Le CAC 40 qui avait ouvert en baisse vendredi a fait volte face en milieu de séance, soutenu par une bonne surprise sur la croissance américaine qui s’est révélée bien plus forte que prévu au troisième trimestre. Elle a grimpé de 2 % en rythme annuel, portée par de solides dépenses des ménages. Au finish l’indice a avancé de 0,69 % à 3 435,09 points. Mais sur l’ensemble de la semaine il perd 1,98 %. Auparavant, déçu par de nombreux résultats décevants en provenance des entreprises américaines et freiné par des signaux conjoncturels mitigés, le CAC 40 avait passé toute la semaine dans le rouge, à l’exception d’un soubresaut mercredi.
Après une semaine également très morose, les autres grandes places européennes ont également terminé en petite hausse vendredi. Londres a grignoté 0,03 % et Francfort, 0,44 %. Wall Street, faisait en revanche toujours grise mine. En séance, le Dow Jones reculait de 0,21 % et le Nasdaq de 0,33 %.
A Paris, les banques toujours en première ligne restaient dans le rouge vendredi. Société Générale a perdu 0,96 %, BNP Paribas 1,22 % et Crédit Agricole 2,18 %. Sur l’ensemble de la semaine, ces titres reculent respectivement de 5,59 % ; 4,08 % et 4,71 %. Les banques françaises sont dans le collimateur de Standard & Poor’s. L’agence de notation a dégradé la note de trois banques françaises dont BNP Paribas. Neuf autres banques ont vu leur note inchangée mais leur perspective passer à négative, dont Crédit agricole et Société Générale. Standard & Poor’s estime que le «risque économique» sous lequel opèrent les banques françaises s’est accru, compte tenu notamment du poids de la dette publique dans notre pays.

Le secteur automobile à la peine

Dans un climat toujours très fébrile, les mauvaises nouvelles ont été lourdement sanctionnées en Bourse. France Télécom ainsi accusé la plus lourde chute du CAC 40 sur la semaine avec une repli de 8,45 % en cinq jours. L’opérateur télécom historique doit faire face à la fois à l’inexorable déclin de la téléphonie fixe et à une concurrence sans merci dans le mobile. Mauvaise semaine également pour l’industrie automobile. PSA Peugeot Citroën, qui a été contraint d’accepter l’aide de l’État pour éviter à sa filiale bancaire de sombrer, a abaissé cette semaine les perspectives de croissance après avoir vu ses ventes reculer de 3,9 % au troisième trimestre. Renault a vu son chiffre d’affaires trimestriel plonger de 13 % et s’attend à présent à un recul de ses ventes en 2012 pouvant atteindre 5 %. Les deux titres abandonnent respectivement 13,4 % et 6,74 % en cinq jours. L’action Peugeot flirte désormais avec ses plus bas niveau depuis 1986. Au-delà du seul secteur de l’automobile, les valeurs industrielles souffrent considérablement. Technip cède ainsi 5,03 % sur les cinq derniers jours de Bourse. Suivent, notamment, Vallourec (- 4,88 %), Alstom (- 3,67 %) ou encore Schneider Electric (- 3,17 %).
Seuls les groupes qui ont dévoilé de solides performances au cours du troisième trimestre parviennent à tirer leur épingle du jeu à l’image de PPR (+2,23 %) ou Michelin (+1,99 %).
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El dato del PIB de EE UU relaja los mercados

La prima de riesgo, que subía por la mañana, vuelve a cotas del jueves, cerca de los 400 puntos

El Ibex modera su caída, aunque sigue sin recuperar los 7.800 puntos

Inversores japoneses observan un panel con cotizaciones. / Koji Sasahara (AP)

Tras una semana de calma, los nervios habían vuelto a los mercados de deuda esta mañana. Sin embargo, gracias al buen dato de PIB de EE UU, por la tarde han levantado un poco el vuelo. En España la prima de riesgo, que es el indicador que mide este diferencial y que durante las primeras horas de sesión había llegado a los 415 puntos, antes del cierre de mercados se relajaba 10 puntos, y se acercaba a los 104 puntos, los niveles en los que cerró el jueves.
La relajación ha llegado a los mercados gracias a las cifras de EE UU. Su economía sigue creciendo, y lo hace incluso algo más rápido. La actividad económica se expandió en el tercer trimestre a una tasa anualizada del 2%.
El español Ibex 35 estaba llamado hoy a ser el farolillo rojo de los meracdos europeos, aunque su descenso inicial matinal del 1% se ha ido reduciendo, hasta una caía del 0,25% poco antes de terminar la sesión y finalmente ha terminado con el -0,05%, prácticamente plano con respecto a la sesión del jueves. En tímidas caídas se movían también hoy los selectivos de Londres o Milán. París y Fránkfurt logran mantenerse en verde, aunque ambos con subidas inferiores al 1%. En los mercados de divisas, el euro se ha depreciado frente al dólar y la moneda europea se ha intercambiado por 1,29 unidades del billete verde.

Una semana marcada por el rescate

Con la subida que ha registrado la prima de riesgo en los dos últimos días, el sobreprecio exigido a la deuda española se ha comido toda la mejora de la semana pasada, una recuperación que estuvo motivada por la percepción de los inversores de que el rescate era inminente. No obstante, la petición de ayuda no llegará previsiblemente hasta noviembre y, lo que pone aun más nerviosos a los inversores, existe la sospecha de que la mejora en el riesgo país disuada al Ejecutivo de activarla en las próximas semanas.
Con este telón de fondos, las ventas y las órdenes de salida predominaban sobre los títulos del Tesoro. En el caso de los bonos a 10 años, que son los que se utilizan para calcular la prima de riesgo, su rentabilidad subía al 5,6% en un intento de convencer a los inversores de que ignorasen las dudas y comprasen papel del Estado.
Sobre el rescate y por aquello de añadir aun más tensión, Jörg Asmussen, miembro alemán en el directorio del Banco Central Europeo, ha recordado esta mañana que la petición formal de ayuda de un país al fondo de rescate no desencadenará de forma automática la compra de deuda por parte del BCE. Esta potencial intervención del organismo presidido por Mario Draghi, que tiene en su poder el botón nuclear que reduciría de forma decidida la prima de riesgo, es lo que está actuando como red de seguridad de la deuda española y que impide que vuelva a las cotas insostenibles de junio, cuando llegó a superar los 600 puntos.
En su discurso ante la Conferencia de Estrategia del la asesoría Boston Consulting Group en Kronberg (oeste de Alemania), Asmussen ha asegurado que el "BCE analizará la compra de bonos soberanos en cada caso" de forma individual. "La petición ante el fondo (permanente) de rescate MEDE y el compromiso de cumplir los requisitos ligados son los prerrequisitos para que arranque el programa de compra de deuda del BCE. Pero no hay automatismos. La petición al MEDE es la condición necesaria, pero no suficiente", ha añadido.
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EE UU acelera el ritmo de crecimiento

Se necesita crecer el doble para que haya una reducción sostenida del paro y del déficit público

El presidente de Estados Unidos, Barack Obama. / MANDEL NGAN (AFP)
 

La buena noticia. La economía de Estados Unidos sigue creciendo, y lo hace incluso algo más rápido. La actividad económica se expandió en el tercer trimestre a una tasa anualizada del 2%. Es siete décimas más que en el segundo. Hay peros. La mejora es insuficiente porque queda a mitad de camino de lo que se vio a final de 2011 y se necesitaría crecer casi el doble para que haya una reducción sostenida del paro y del déficit público.
Es la primera estimación, sujeta a dos lecturas más. Wall Street anticipaba un crecimiento del 1,8%. Hay dos factores que explican esta aceleración, que contrasta con la contracción en Europa y que se anuncia a menos de dos semanas de las elecciones presidenciales en EE UU. Por un lado, está un mejor comportamiento del consumo (2%). Por otro, la actividad en el sector inmobiliario (14,4%), que compensa la debilidad de la inversión privada (1,3%).
El indicador muestra vulnerabilidad, que explica que las empresas en EE UU esté adoptando una posición de “esperar a ver” en este clima de incertidumbre
El 2%, aunque es más robusto que el registrado en el primer semestre, es un punto porcentual más bajo que el crecimiento potencial. Es decir, es una tasa de expansión que mantiene alejados los fantasmas de la recesión y evitar que suba el desempleo. El dato refleja también una aceleración en el gasto federal (9,6%) y una caída en la importaciones (0,2%). Este repunte va acompañado de un alza en los precios vinculado al consumo (1,8%).
El indicador muestra también puntos de vulnerabilidad, que explican que las empresas en EE UU esté adoptando una posición de “esperar a ver” en este clima de incertidumbre. En primer lugar, las exportación de productos y servicios estadounidenses cayeron (1,6%) en el trimestre, frente a un robusto incremento (5,3%) en el precedente. En segundo lugar, es un nivel de crecimiento muy bajo para contener el impacto del conocido como “abismo fiscal”.
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La inversión foránea en deuda española sube por primera vez en 10 meses

La compra de bonos anunciada por el BCE y la inminencia del rescate animan la demanda


El Banco Central Europea (BCE) no ha puesto en marcha aún el programa de compra de bonos a países con dificultades de financiación, como España, pero el mero anuncio de este programa el pasado mes de septiembre tuvo un efecto evidente en el mercado: no solo se suavizaron los altos intereses que se le exigen a los bonos españoles, sino que incluso la inversión extranjera en titulares soberanos españoles creció por primera vez desde noviembre de 2011.
En total, el volumen de bonos y letras registrado en  manos de no residentes acabó septiembre en 210.238 millones de euros, unos 18.000 millones más que en el mes anterior, según los datos actualizados ayer por el Tesoro. También la inminencia de una fórmula de rescate para España, proceso que se vincula a la compra de bonos por parte del BCE, ha rebajado las presiones contra España.
Aun así, el peso de la inversión foránea de el total de deuda española, del 35,4% (un punto más que en el mes de agosto) sigue muy por debajo de 2011, cuando el 50% era propiedad de inversores extranjeros.
El organismo europeo y la cada vez más asumida posibilidad de una rescate para España también ha animado las inversiones de los bancos españoles en deuda soberana, que en septiembre aumentaron.

mercredi 24 octobre 2012

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Grecia confía en nuevas medidas de apoyo tras pactar otro plan de ajuste

Atenas tendrá dos años más, hasta 2016, para reducir el déficit al 3%

El nuevo plan de recortes previsto es de 13.500 millones de euros

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Las señales de dimisión de la Unión Europea en Grecia se disipan; la salida o expulsión del euro es menos probable desde la visita de la canciller Ángela Merkel a Atenas, hace un par de semanas. El acuerdo político ya está ahí, y simplemente queda visualizarlo. El primer paso se dio este miércoles: el Gobierno griego anunció un acuerdo con la temida troika (la Comisión Europea, el Fondo Monetario Internacional y el Banco Central Europeo, cuyos funcionarios llevan también unos días en Madrid) para aplicar el enésimo programa de ajustes, por importe de 13.500 millones. En medio de una depresión económica, a cambio de ese sobreesfuerzo adicional Grecia gana tiempo: dos años más —hasta 2016— para bajar el déficit público al 3% del PIB, según el borrador del memorando.
Y, sin embargo, todo está aún en mantillas. Ni la troika ni Berlín confirmaron este miércoles ese acuerdo sobre las medidas fiscales y estructurales adicionales, ni tampoco acerca de los dos años de bula para llegar a un déficit del 3%, imprescindibles para que la recesión no atropelle lo que queda de la economía griega. El presidente del BCE, Mario Draghi, explicó que la decisión no está tomada todavía. “No hay nueva información al respecto”, abundó el ministro de Finanzas alemán, Wolfgang Schäuble, que quiere ver el informe completo de la Troika antes de dar luz verde al acuerdo. Pero Atenas está decidida a acelerar el paso, si es necesario con la convocatoria extraordinaria de un Eurogrupo a finales de este mes. A la fuerza ahorcan: Grecia necesita el dinero porque las telarañas de sus arcas públicas están a la vista. Sin fondos europeos, el país se quedaría sin dinero para sus gastos corrientes (los sueldos de los maestros, las pensiones y demás) tan pronto como a lo largo de noviembre.
De retruque, que la niebla se disipe en Grecia afecta directamente a España y a su virtual segundo rescate, que todo el mundo da por hecho, pero ha desaparecido de los titulares de la prensa anglosajona. Los mercados dan por hechos los dos años adicionales para Atenas, como dan por segura la solicitud de ayuda de España. Ambas cuestiones son solo cuestión de tiempo. “Pero la secuencia de los acontecimientos es crucial”, indicaron fuentes europeas.
El Parlamento griego votará las nuevas medidas la semana próxima
“Grecia no es Ecuador”, repiten los diplomáticos europeos desde hace un tiempo, con esa lógica del Portugal no es Grecia, Irlanda no es Portugal, España no es Irlanda, Italia no es España y así ad infinitum. Y Grecia no es Ecuador, en efecto, pero lleva cinco años en recesión, con el desempleo en niveles sin precedentes, particularmente entre los jóvenes, las finanzas públicas hechas trizas, la deuda pública por encima del 170% del PIB y graves dificultades en el sistema financiero. Con grietas entre la coalición de Gobierno y jaleo en las calles un día tras otro. En medio de ese venenoso caldo de cultivo, el ministro de Finanzas, Yanis Stunaras, anunció este miércoles un acuerdo sobre la nueva dosis de austeridad que exige la troika a cambio de los dos años adicionales para cumplir con las metas de déficit. El Parlamento griego votará ese paquete la semana próxima. El sí se da por hecho: lo contrario sería un suicidio político; Grecia debería declararse en suspensión de pagos porque la ayuda europea no llegaría a tiempo. “La duda es si la sociedad griega, muy fatigada ya por varias rondas de recortes, tolerará otra tanda de medidas”, explicaron fuentes diplomáticas.
El nuevo plan incluye recortes y una nueva reforma laboral, que ha provocado disensiones entre la coalición de Gobierno (el partido conservador del presidente Antonis Samarás, los socialistas del Pasok y una pequeña formación de centroizquierda). Grecia podría finalmente retrasar los plazos de las reformas del mercado laboral y del mercado energético, además del plan de privatizaciones y la venta de activos inmobiliarios. Finalmente, puede que no haya extensión de la jornada laboral (para hacer más fácil que los griegos trabajen seis días a la semana) y Atenas ha conseguido que se suavice la rebaja de las indemnizaciones por despidos. Pero el borrador no deja claro aún cómo se va a financiar el agujero presupuestario de 2013 y 2014.
Grecia necesita el pago de la ayuda de 31.000 millones de noviembre
“Lo fundamental es ahora desbloquear el pago del tramo de ayuda de 31.000 millones de euros en noviembre”, según fuentes diplomáticas. Tan fundamental, que si ese dinero Grecia no puede hacer frente al funcionamiento básico de la Administración. Las prisas y los apuros son terreno abonado para las extravagancias: el debate en Grecia gira en torno a una eventual propuesta alemana, que pasaría por abonar las ayudas europeas y los ingresos fiscales griegos en una cuenta con un cierto control externo, según un documento filtrado por el Pasok. Sin ir tan lejos, Schäuble hablaba este miércoles de “mecanismos” y “estabilizadores automáticos”, sin precisar. “No somos un protectorado”, declaró el líder socialista, Evangelos Venizelos.
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Draghi garantiza que la compra de bonos no servirá para financiar los Estados

El presidente del BCE se reúne con miembros de las comisiones de Presupuestos, Finanzas y Europa del Parlamento alemán

El presidente del BCE, Mario Draghi. / JOHN THYS (AFP)



La decisión del Banco Central Europeo (BCE) de apoyar futuros rescates a países en problemas, como España, con compras de bonos cosechó sonoras críticas en Alemania. Pese al respaldo de la canciller, Angela Merkel, los sectores conservadores de su partido, la CDU y, sobre todo, de sus socios liberales (FDP) en el Gobierno se alinearon con las tesis del Bundesbank, el banco central alemán, que aireó el riesgo de inflación y de debilitar el rigor presupuestario mediante una vía indirecta de financiación. El presidente del BCE, Mario Draghi, acudió este miércoles al Parlamento alemán para defender el programa de compra de bonos. Y, a tenor de la reacción de varios diputados, no salió mal parado.
Antes de entrar al edificio de Reichstag, sede de la Cámara baja (Bundestag) del Parlamento federal, Draghi afirmó que también había venido a Berlín a “escuchar”. Pero lo que trascendió de la reunión a puerta cerrada fue, básicamente, lo que dijo él. Según informó el BCE en un comunicado, Draghi insistió en cuatro puntos: “Primero, no se trata de una financiación disfrazada de los Gobiernos; segundo, no pondrá en peligro la independencia del BCE; tercero, no se asumirán riesgos excesivos para los contribuyentes; cuarto, no se impulsará la inflación”.
El BCE ve en la posible deflación el mayor riesgo para los precios
En este último punto, el presidente del supervisor europeo enfatizó que el riesgo, en todo caso, es el de deflación —el alza del IVA y de otros precios públicos hacen de España, con el IPC en el 3,4%, una llamativa excepción—. “En nuestra opinión, el mayor riesgo para la estabilidad de precios ahora es la caída de precios que se produce en algunos países del área euro”, afirmó.
Tanto Angela Merkel como su ministro de Hacienda, Wolfgang Schäuble, apoyan a Draghi en su plan de intervención en los mercados secundarios de deuda. Incluso desde el partido hermano de la CDU en Baviera, la socialcristiana CSU, se han escuchado tonos conciliadores con el BCE. Gerda Hasselfeldt, una de sus dirigentes parlamentarias, dijo que "la compra de bonos puede ser necesaria para asegurar la meta de la estabilidad monetaria".
Después de la reunión, el secretario general del partido liberal FDP Patrick Döring explicó que Draghi había descrito las medidas que el BCE tiene preparadas para el caso de que suba la inflación. Casi entusiasta, el portavoz de presupuestos democristiano Norbert Barthle dijo que la ponencia de Draghi fue "muy convincente". “Se ha revelado como un prusiano del Europa del sur”, afirmó. Y Bärbel Höhn, de Los Verdes, dijo a la televisión pública que el jefe del BCE había "hecho un buen análisis con las explicaciones necesarias".
Los liberales del FDP, socios de Merkel, mantienen el tono crítico
Pero diversos elementos conservadores alemanes acusan al BCE de estar arriesgando una ola inflacionista en Europa con su política monetaria expansionista. El diputado Frank Schäffler (FDP), adalid de los euroescépticos en su partido, no ha querido dejar pasar esta oportunidad para cuestionar las aptitudes de Draghi para su cargo. El diario conservador Frankfurter Allgemeine Zeitung también se hizo eco de algunas voces críticas desde la bancada democristiana (CDU/CSU), la más nutrida del Bundestag. El Frankfurter Allgemeine Zeitung está siendo uno de los rotativos alemanes más críticos con la política monetaria del BCE.
Desde la oposición de centro-izquierda, el portavoz de presupuestos del SPD Carsten Schneider criticó que el BCE haya puesto condiciones para la hipotética compra de bonos de los países en crisis. A su entender, el Banco emisor se inmiscuye así en cuestiones políticas para las que no tiene legitimación. No obstante, Draghi puso como condición a la compra de bonos que el país beneficiado curse una solicitud ante el mecanismo europeo MEDE, que sí se rige por criterios políticos y sólo actúa con permiso de los Parlamentos. Draghi insistió en que el plan de compra de bonos no es una medida indefinida, sino un proceso de urgencia para permitir que se apliquen medidas de “consolidación fiscal”.
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Debito pubblico, record dell'Italia
nel secondo trimestre è al 126% del Pil

Secondo i dati Eurostat il nostro Paese si conferma secondo solo alla Grecia. Cresce anche quello di Portogallo, Irlanda e Spagna

BRUXELLES - Nuovo record per il debito pubblico italiano, che nel secondo trimestre del 2012 è schizzato al 126,1% del Pil (Prodotto interno lordo). A dirlo sono i dati resi noti da Eurostat. Nel primo trimestre il debito aveva già raggiunto il picco di 123,7%, il più alto dal 1995 quando era al 120,9%. L'Italia si conferma seconda solo alla Grecia, il cui debito è ora al 150,3%.

Balzo in avanti anche per il debito portoghese, passato dal 112% al 117,5%, e quello irlandese, cresciuto dal 108,5% al 111,5%. Anche il rapporto debito/Pil della Spagna è in netto aumento: dal 72,9% dei primi tre mesi del 2012 al 76% di fine giugno.

Sale anche il debito dell'eurozona, che raggiunge quota 90% del Pil nel secondo trimestre, dall'88,2% dei tre mesi precedenti. Il rapporto debito/Pil continua a salire anche nell'Ue nel suo complesso, dove è passato dall'83,5% del primo trimestre all'84,9% del secondo.
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Market Overview
 
FTSE MIB15.706,56+0,82%
FTSE 1005.804,78+0,12%
DAX 307.192,85+0,27%
CAC 403.426,49+0,59%
Swiss Market6.627,41+0,01%
S&P 5001.412,38-0,05%
NASDAQ2.985,93-0,15%
Hang Seng21.763,78+0,31%