jeudi 22 novembre 2012

La visión está sostenida en la generación de soluciones inteligentes.

L'Italia è ultima tra i paesi del G7
ma dà timidi segnali di ripresa

Mario Deaglio presenta la ricerca Einaudi-Ubi: il ciclo potrebbe aver toccato il fondo, sempre che non arrivi una nuova gelata. Ma per rivedere i livelli pre-crisi bisognerà aspettare il 2016-2017. Le debolezze dell'Europa e quelle degli Stati Uniti

di VITTORIA PULEDDA MILANO - Tutte le crisi prima o poi finiscono. E se dietro l'angolo non c'è una nuova gelata, il 2013 potrebbe essere l'anno di un timido ritorno alla crescita per l'Italia. Buonsenso stavolta condiviso anche dall'economista, come ha spiegato Mario Deaglio nell'illustrare il diciassettesimo Rapporto sull'economia globale e l'Italia promosso dal Centro di ricerca Einaudi e da Ubi. Qualche segnale comincia a essere percepibile, guardando i singoli settori di attività: soprattutto nell'alimentare, le cose stanno andando meglio e l'export è in ripresa.

Ma l'Italia e l'Europa continuano a muoversi sull'Asse di equilibrio (come recita il titolo della ricerca) e tutto sommato le ragioni di ottimismo continuano a essere poche: le debolezze sono note (invecchiamento della popolazione, fragilità dell'euro, rigidità della Germania) e la forza propulsiva continua a non vedersi; anzi, ultimamente anche la Germania dà segni di rallentamento. Meglio vanno le cose negli Stati Uniti, ma non abbastanza da poter festeggiare; e infatti Deaglio parla di "nobile gara tra euro e dollaro, per vedere chi è più debole" e un'analisi dei grandi shock negli ultimi quaranta anni mostra che negli States i picchi negativi del Pil sono stati superati - sia nel 2001 sia nel 2008 - da una crisi ancora più forte dell'occupazione.

Semmai il problema per il nostro paese è di un sistema produttivo che non trova la via stabile della crescita non solo nei periodi più neri ma anche quando le cose vanno meglio. E infatti l'Italia è all'ultimo posto tra i paesi del G7 sia tra il 2001 e il 2007 (il periodo pre-crisi) sia tra il 2008 e il 2012, in piena crisi, e le previsioni del Fondo monetario per il 2013-2017 ci assegnano comunque l'ultima posizione. Meglio avevano fatto nel periodo della lunga espansione, tra il 1990 e il 2000, quando invece che all'ultimo eravamo al penultimo posto.

Comunque, per l'Italia e per l'Europa, i livelli pre-crisi verrranno raggiunti solo nel 2016-17. Incrociando le dita e sperando che nulla si metta di traverso, dalla crisi greca (che potrebbe vedere ancora il ricorso a misure di alleggerimento del debito, per renderlo sostenibile) alla stessa riscrittura dei meccanismi dell'euro, se tutto dovesse saltare. Tenendo presente che qualsiasi scossone dello spread tra titoli italiani e tedeschi ci costa caro: il passaggio tra quota 200 punti base a 500 significa 30 milioni di interessi in più al giorno, rispetto ad un debito pubblico che ci impone di rimborsare un miliardo di euro al giorno (e dunque, di rifinanziarsi almeno per pari importo).

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